Se mi addormento mi tieni per mano? è il romanzo del ballerino e coreografo Vittorio Di Rocco

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Nel suo romanzo d’esordio Vittorio Di Rocco, ballerino e coreografo, dosa con maestria resoconto e descrizioni con punte di umorismo e lirismo che gli vengono dalla dimestichezza con la bellezza, quella vera, autenticamente innestata sulla vita con i suoi slanci, anche quando questa gli presenta un conto durissimo.

NOTA DELL’AUTORE In questa storia, per proteggere l’identità dei protagonisti, la maggior parte dei nomi  sono stati inventati. Alcune esigenze narrative mi hanno spinto a dare maggior spazio ad alcuni di loro e  doverne omettere altri: amici, amiche o famigliari che, pur avendo giocato un ruolo molto importante nella  mia vita, per una semplice questione funzionale al romanzo non sono stati citati. In alcuni casi, ho dovuto  fondere alcuni personaggi assieme per crearne uno solo. Per aggiungere un po’ di atmosfera alla  narrazione, ho inserito alcune battute nella lingua originale del personaggio. I fatti qui narrati fanno parte di  una storia vera. 

Quarta di copertina 

In una Fossano marginale rispetto alla frenesia e all’offerta delle grandi città, un ragazzino vivace e  sognatore sente crescere in sé una forte passione. Negli anni ottanta Vittorio si muove prima ancora che  con il corpo, in un immaginario forte, con la prepotenza tipica della giovane età, che lo porterà, è il caso di  dirlo, passo dopo passo a rendere reale il suo progetto di vita. Sarà un cammino arduo, un mosaico  esistenziale sempre a metà tra caso e possibile, fantasia e realtà, superando pregiudizi e luoghi comuni  spesso duri a morire. Vittorio capisce presto di dover lasciare l’Italia e giunto a Cannes riceverà la sua prima  formazione professionale. Sullo sfondo la famiglia, lo stacco da una madre che anziché ostacolare il figlio gli  dona supporto. Un padre che invece lo avrebbe voluto calciatore. Vittorio tratteggia lungo le pagine la  storia dell’Europa che si misurerà con il crollo del muro di Berlino. I vari soggiorni in Francia e in Germania,  l’incontro decisivo con Anne sono gli elementi di un puzzle in cui è garantito l’equilibrio tra i riferimenti  autobiografici e storia universale. La tensione narrativa che non conosce cedimenti di sorta si mantiene fino  al finale. Il racconto sembra uscire da una scatola di esperienze e avventure di momenti intinti nell’oro e  nella pece. Nel suo romanzo d’esordio Vittorio Di Rocco dosa con maestria resoconto e descrizioni con  punte di umorismo e lirismo che gli vengono dalla dimestichezza con la bellezza, quella vera,  autenticamente innestata sulla vita con i suoi slanci, anche quando questa gli presenta un conto durissimo.  Ma sarà ancora una volta il primo gradino da cui ripartire per ricominciare.  

Cristina Raddavero

Alcune citazioni del libro:

Il pensiero diventa movimento e azione ed è il corpo che parla e racconta la mia storia, i miei sentimenti, le  mie emozioni. Ognuno di noi ha una storia e sono appunto queste storie che raccontano la vita dell’uomo. 

Introduzione 

Erano le sei del mattino quando, come spesso mi succedeva da bambino, infilai le scarpe da ginnastica per  andar a correre tra i campi di granoturco, in una zona chiamata Santa Lucia, poco fuori dalla città. Più  correvo e più mi era chiaro che dovevo recuperare la mia vita, ne era in gioco tutto il mio futuro. Da  ragazzino amavo correre. Per un anno feci anche parte di una squadra agonistica. Correre mi faceva sentire  vivo. Tutto il mio corpo era in simbiosi con se stesso, era una sensazione irruente, un vulcano pronto a  esplodere, con la differenza che alla fine di ogni corsa, più che esplosione era un’implosione quello che  sentivo. I polmoni si facevano enormi riempiendomi il petto. Li avvertivo spingere contro le costole e  ripiegarsi come onde, che impetuose si abbattono contro le rocce e poi si ritirano. Quell’afflusso di sangue  nelle vene, nel mio corpo, era come una droga che mi faceva vivere sensazioni insolite, estreme. Mi  esaltava spingermi oltre i miei limiti, perché quando, sfiancato all’arrivo e le gambe non mi appartenevano  più, morivo per poi rinascere lentamente. Momenti appaganti, ma in fondo per me privi di senso. Correvo  perché mi piaceva correre. Quella è stata l’ultima corsa nella mia città. Tornato a casa, mi buttai sotto alla  doccia, preparai due borse e mi feci trovare davanti alla porta di casa da mia madre.  “Ma cosa fai lì?”  

“Torno in Francia.”  

“Ma vai a dormire!” sbuffò mia madre prendendomi poco sul serio. 

Pag. 100 

Sceso dal treno alla stazione di Paris Austerlitz c’era Anne ad aspettarmi. 

Parigi era una città surreale, magica. Ne rimasi immediatamente estasiato. 

Non ero ancora mai stato in una grande metropoli e non ero neanche abituato a vedere così tanta gente  per strada, in stazione, nella metro, che del resto presi quel giorno per la prima volta nella mia vita. Tutto era talmente meraviglioso, sia perché lo stavo vivendo con lei, sia perché quella nuova svolta nella  mia esistenza era così incredibile. 

Le persone più strane e singolari che io avessi mai incontrato mi circondavano, camminavano sui  marciapiedi al mio fianco, salivano con me sulla metro, sui bus, sulle scale mobili e mi sfioravano, mi  spingevano. Presto mi fu chiaro che siamo tutti come milioni di piccole formiche che, giorno dopo giorno,  invisibili, praticano le stesse identiche azioni automatiche. 

Pensai anche che tutta quella innaturale indifferenza, verso il tuo aspetto, il tuo modo di vestire, il colore  della tua pelle, sia la forza vitale delle città come Parigi. 

Pag. 124 

La situazione cambiò radicalmente una volta passati nella Germania dell’Est, il muro di Berlino era caduto  da poco più di tre anni. Passata Eisenach, considerata città di frontiera, perché era l’ultima città prima dei  territori “liberi” dell’ovest, a primo impatto ebbi l’impressione di ritrovarmi in un luogo dove il tempo si era  arrestato, lasciando traccia di quella guerra che aveva distrutto e devastato ogni cosa. 

Pag. 215 

Qui l’odore di lavanda era dappertutto. Quel profumo lo conoscevo molto bene, perché sua madre le  inviava spesso dei sacchetti da riporre negli armadi o nei cassetti. Il giardino davanti a camera mia ne era  pieno. Tanti piccoli arbusti sempre verdi con rami dritti verso il sole. Sui fiori raccolti in spighe, spesso si  posavano farfalle o api e, quando spalancavo la porta, la stanza si inondava di quell’ineguagliabile  fragranza. Il suo colore molto caratteristico, compreso tra l’azzurro e il lilla, e il suo profumo, avevano  qualcosa di magico e mi riportavano costantemente a lei. Si dice che la lavanda migliori l’umore, riduca  l’ansia e lo stress, per me era semplicemente una sensazione che sapeva di Anne e questo mi rassicurava.

Pag. 228 

Siamo quello che siamo e un agnello non diventa leone, come un leone non diventa agnello. Impariamo  solo a travestirci, è quello che facciamo spesso nella vita. Chi solo in certe circostanze, chi invece ne fa  abuso e finisce per portar la maschera per sempre, fino a quando, un giorno, una sberla un po’ più forte  gliela fa cadere. Se quello che vedi sotto, di cui hai dimenticato aspetto, forma e sostanza, non ti piace, hai  poche soluzioni, lo accetti e ci convivi o impazzisci dal dolore. 

Pag. 238 

Era la fine di una splendida giornata di sole. Il mare era calmo e una leggera brezza donava all’olfatto la  quintessenza dell’odore di mare, quel mix di salato, frizzante, con un retrogusto di alga e forse anche zolfo  che inevitabilmente mi riportava all’infanzia. Stanchi, ci sedemmo sulle sedie blu di Nizza a contemplare  l’orizzonte in attesa del tramonto.

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