“Hanno ucciso l’Uomo Ragno” è una delle canzoni italiane più iconiche degli anni ’90, che ha lanciato il successo degli 883, il duo formato da Max Pezzali e Mauro Repetto.
Pubblicata nel 1992, questa canzone ha segnato una svolta nella musica pop italiana, unendo testi generazionali a un sound elettronico immediato.
Ma cosa significa davvero “Hanno ucciso l’Uomo Ragno”? Qual è la storia dietro questo titolo curioso e provocatorio?
La canzone esce nel maggio 1992 come title track dell’album d’esordio degli 883: “Hanno ucciso l’Uomo Ragno”.
Il duo, scoperto da Claudio Cecchetto, propone un mix inedito per l’Italia dell’epoca: testi adolescenziali, influenze hip hop ed elettroniche, un look casual e un’attitudine da “ragazzi normali”.
Il brano nasce da un’idea di Max Pezzali, che osservando la realtà della provincia italiana si chiede dove siano finiti gli eroi positivi della sua infanzia, rappresentati metaforicamente dall’Uomo Ragno.
L’Uomo Ragno nella canzone è un simbolo dell’eroe giusto, del “buono” che lotta per cambiare le cose. La sua “uccisione” rappresenta la fine dell’ingenuità e l’ingresso in un mondo disilluso, cinico, dove non ci sono più ideali né punti di riferimento chiari.
“Hanno ucciso l’Uomo Ragno / Chi sia stato non si sa / Forse quelli della mala / Forse la pubblicità”
Il testo racconta di un mondo caotico, ipercommerciale, dove persino i supereroi non hanno più spazio. È una critica sottile alla società di massa, alla corruzione culturale e al consumismo sfrenato degli anni ’90.
Il brano usa un tono ironico e surreale, accostando il linguaggio semplice a una critica sociale. Ogni strofa mostra scene della vita quotidiana: pubblicità, moda, giornalismo sensazionalistico, mafia… tutti elementi che hanno “ucciso” la speranza, la fantasia, e la giustizia.
La frase chiave “Chi sia stato non si sa” riflette un senso di impotenza generazionale: si percepisce che qualcosa è cambiato in peggio, ma nessuno sa o può fare davvero qualcosa.
“Hanno ucciso l’Uomo Ragno” non è solo una canzone pop: è una fotografia ironica e malinconica dell’Italia degli anni ’90, raccontata con il linguaggio dei giovani. La sua forza sta nel mescolare cultura pop, introspezione e musica orecchiabile, in un modo mai visto prima nella scena musicale italiana.
Ancora oggi, questo brano resta un simbolo generazionale e uno dei pezzi più amati della carriera di Max Pezzali.
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